Daniela Rancati

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17 Settembre 2015 By @dmin_Rancati

Mostra Materia

For years Daniela Rancati's complex and aloof sculptures have revolved around an important concept: the recreation, using modem techniques and materials, of the alienated sacredness of the stele and its evident symbolism.
The stele (according to anthropology; the double par excellence, the first projection of the human body; the fundamental coscience of the individual) becomes an image and anthropomorphic column, or immerses itself in a horizon of poetic intuitions that simultaneously contemplates its own formal and structural nature.
The latter is the path taken by Rancati. Primarily using metals (especially copper) that present a minor historical/artistic tradition, and working in parallel with the concepts of an important school of Italian research (from Malotti to Nagasawa), exorcising its weight and opacity in favor of more subtle shapes, the artist creates structures whose shining shell opens toith a gesture that cleaves the surfaces and explicitly transfer physical energies.
Rancati feels and examines her own body and, acting with great strenght, she reproduces the flow of her intuitions in the exploration of the entire organic unity of the individual, meaning the non-analytic anatomy of her own body: as a result, it is the double that emerges once again, but this is a double that arises from the profound and obscure intuition of organic unity.
Of course, in that sense Rancati reveals an initial attraction for the Post-informal (the sculptural part) that, starting with Giacometti, gave rise to Richier and Armitage and to one of the most renowned schools of the '50s and '60s. However, at the same time the artist has sensed that the informative level of the sculpture, still vibrant and necessary; had to make way for a more abstract and self-critical concept, totally aiming at questioning the precise reason that gave life to the sculpture and allowed it to exist.
Therefore, these stele have a neurotic and irritated appearance and present anxious, inharmonious, crude shapes. Rancati has taken a position that is neither banal or marginal on the horizon of standing sculptures today.
Flaminio Gualdoni
Epistemologia delle emozioni
Wittgenstein (Vienna 1889 - Cambridge 1951) diceva che è inutile parlare delle cose che non si possono dire. La cattiva parafrasi delle parole del grande filosofo positivista del linguaggio, mi consente di parlare dei giochi linguistici dell'arte. Vi sono cose che l'idoneo pensa e sente, che non sono esprimibili a parole, ma che devono essere espresse per la buona salute mentale dell'umanità. E così l'uomo dalle caverne ai nostri giorni ha espresso ciò che non riusciva ad esprimere a parole, con segni (disegni), suoni (canti), strumenti (utensili) etc. Vi è un linguaggio musicale che si esprime ancora oggi con suoni per la musica e la poesia. Vi è un linguaggio ironico che si esprime con i colori, le statue, le fotografie, i film etc. Naturalmente ogni modello espressivo ha una sua logica, diversa da quella del linguaggio, ma non per ciò inesplicabile. Il linguaggio iconico (forme e colori) esprime le emozioni secondo modelli specifici, ma non irrazionali. Anzi direi che nella figura e nel colore si risolve la falsa contrapposizione ragione ed emozione, perché la ragione senza emozioni non comunica pathos, energia, luce, ma l'emozione senza la ragione è incomunicabile. Anche la più astratta delle opere d'arte contiene quel tanto di equilibrio logico-razionale necessario alla comprensione comune, del comune sentire. Potremmo dire che ragione ed emozione, non sono opposti, ma si subimano nella loro complementarietà. Così come luce e oscurità, bianco e nero sono. entrambe necessariamente complementari e non opposte. Un esempio "illuminante" sono le sculture della Rancati dove le emozioni si esprimono nel linguaggio simbolico come la scintilla della percossa pietra focaia. Le emozioni escono dal caos dell'inconscio per divenire realtà a tre dimensioni e la tensione emozione - ragione ci introduce nella quarta dimensione: quella dello spazio-tempo. Per ciò nel visitare queste sculture dobbiamo cercare il piano di coerenza, l'orizzonte di risonanza in un tempo né breve né lungo che è il tempo necessario, non per vedere una statua, ma per entrare in sintonia con l'opera d'arte. Siamo in preda alla tempesta delle emozioni e approdati su qualsiasi spiaggia le correnti ci gettano, dobbiamo starci come ospiti (Orazio Ep. I). Grazie!
Giuliano Boaretto
Le opere vibranti di Daniela Rancati
Quando incontrai Daniela Rancati la prima volta nel 1992 nel suo studio in cui, sul bianco totale sia delle pareti che degli arredi, si stagliavano nitide le sue sculture, per la maggior parte in rame, mi stupii nel trovarmi alla presenza di una donna minuta e dalle fattezze delicate. Pensai che l'artista trasferiva quella stessa lievità fisica nelle sue opere, a volte di grandi dimensioni, ma sempre giocate con estrema delicatezza e un chiaro richiamo al sogno. Mi chiesi subito come riuscisse Daniela, così minuta, a realizzare opere tanto complesse e imponenti. La vidi poi lavorare nel suo laboratorio nella fase finale della realizzazione di una scultura. Forza, decisione, precisione nel gesto mi impressionarono: allora mi sembrò un gigante.
Pierre Restany ebbe la stessa sensazione. Il grande critico d'arte francese con il quale ho organizzato diversi eventi d'arte che sono partiti dall'Italia per poi esser presentati in sedi internazionali, invitò Daniela a partecipare a due importanti mostre collettive. Il grande Pierre, che amava visitare gli atelier degli artisti, rimase profondamente colpito dal laboratorio di Daniela; a lungo si soffermò ad ascoltarla, informandosi sulla tecnica, sulla sua ricerca personale, ammirando i disegni preparatori. Notò subito, con l'acutezza d'osservazione che lo contraddistmqueva. la dimestichezza nell'uso dei materiali, dal marmo al legno, al bronzo, alla ceramica. Pierre e Daniela entrarono in sintonia a tal punto che l'artista decise di realizzare una scultura che lo rappresentava e che Pierre apprezzò moltissimo.
Nelle opere di Daniela, sempre asciutte, essenziali, si nota un rifiuto concettuale nei confronti di strutture sovrabbondanti o esibizionistiche, preferendo linee "decantate" da qualsiasi forma superflua. Opere, spesso leggere, che paiono vibrare come scosse da un lieve alito di vento o da un'improvvisa emozione. Nei suoi lavori, penso soprattutto alle stele, in cui Daniela pratica dei tagli, la luce è un elemento fondamentale, perché parte integrante della struttura dell'opera.
Grande libertà d'espressione, ricercatezza, energia ed eleganza nel segno contribuiscono a metterei subito in comunicazione con le sue opere che ci offrono un nuovo sguardo sulla positività dell'essere umano. Dopo aver presentato negli ultimi anni le sue opere in importanti esposizioni all'estero, questa nuova tappa milanese al Teatro Filodrammatici, nel cuore di Milano, è per Daniela un felice "ritorno a casa"... e per i milanesi è un'emozione ritrovarla.
Francesca Bianucci
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